SC324CD

Suuns And Jerusalem In My Heart

All’inizio di novembre del 2012 i Suuns (Ben Shemie, Liam O’Neil, Max Henry e Joseph Yarmush) assieme all’amico di vecchia data Radwan Ghazi Moumneh, affittano uno studio in quel di Montreal per sette giorni. L’ idea era quella di collaborare ad una serie di rudimentali idee al fine di completare delle canzoni che potessero convivere senza alcun tipo di discriminazione stilistica. Le sessioni sono state un successo, dando vita a brani dalle molteplici vibrazioni, costruiti su sintetizzatori analogici, influenze arabiche ed una sensibilità tipicamente elettronica. Dopo questo fruttuoso incontro, le registrazioni sono state in qualche maniera accantonate.

Entrambi i soggetti in campo si sono dedicati alle rispettive attività, pubblicando album per Secretly Canadian e Constellation, oltre ad imbarcandosi in consistenti tour. Un lavoro di editing – per quanto minimale – è stato effettuato a ridosso delle pause concordate, ma più di un anno è passato prima che qualcuno esterno ai musicisti potesse ascoltare in anteprima questo materiale.  Il progetto prende vita in un live show al festival Pop Montreal 2013, bissando il marzo successivo. Si entra fattivamente nella fase di lancio. La band torna in studio ed opta per un rigoroso lavoro di post-produzione nell’estate del 2014, apponendo lo scorso ottobre gli ultimi ritocchi vocali. Radwan Ghazi Moumneh (Jerusalem In My Heart) si è prevalentemente occupato di post-produzione, supportato da Max Henry dei Suuns. Il concerto assomiglia più ad una performance, con minore enfasi sulla riproduzione esatta delle composizioni, l’intento è infatti quello di replicare la scintilla iniziale, ricreando il clima ideale per questa jam dai tratti ancestrali.

http://www.youtube.com/watch?v=MihgO9nZR0g

ES1046

The Skints, Swingin’ Londoneers

The Skints sono un quartetto reggae di Londra, descritto dal notabile Clash Music come i portatori della fiamma della moderna musica reggae britannica. Il loro sound trascrive lo stile jamaicano e quello londinese, attingendo per l’appunto a reggae, ska e dub, addizionando il tutto con tracce di  grime ed hip-hop; uno stile  contemporaneo che raccoglie tanto dalle strade della capitale inglese come dalle più assolate location caraibiche. Si sono esibiti in centinaia e centinaia  di concerti sui palchi di mezzo mondo,  a partire dal loro battesimo nel 2007, confermando come la dimensione live sia loro oltremodo congeniale. In occasione dell’edizione 2014 del Festival di Reading – stando alle parole del puntuale The Guardian – fecero un figurone, aizzando la folla con i loro ritmi in levare.

FM, in uscita il 9 di marzo per Easy Stars, è senza ombra di dubbio il loro album migliore, una crescita esponenziale per quello che riguarda la loro scrittura e tecnica individuale, con uno studio di registrazione che ha permesso loro di focalizzare al meglio ogni singola intuizione. Un concept stando ai protagonisti, dove si paga pegno alla cultura delle stazioni radiofoniche, (ufficiali o pirate che siano), che hanno contribuito a plasmate la loro conoscenza musicale, conservando il sacro fuoco della musica reggae per tutti questi anni. Da passaggi deliberatamente heavy roots ad illuminanti ibridi Motown/ska, fino a sconfinare nei territori del ragga/dancehall e del rocksteady (con un pizzico addirittura di grime), il gruppo ha rinnovato con grandi fortune il suo approccio. Merito anche del ‘padrino’ Prince Fatty (Hollie Cook, Lily Allen) un produttore che ai controlli ha saputo fornire una prestazione esemplare. Tra gli ospiti si segnalano Tippa Irie, Horseman, l’mc grime Rival e addirittura un cameo da parte del comico Rufus Hound.

Le disparate influenze del disco non fanno altro che deporre a favore della band che in maniera umilissima rovista tra i suoi archivi, riproponendo le stesse esperienze consumate sui solchi di Clash (quelli ovviamente di Sandinista), Tenor Saw, The Roots Radics, Rancid, The Shirelles, Wiley, Jimmy Cliff e addirittura Black Flag, che omaggiano con un’incredibile versione di ‘My War’. Le buone vibrazioni sono assicurate.

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Toro Y Moi, What For ?

What For? Il nuovo album di Toro Y Moi, sarà pubblicato il prossimo 6 di aprile per la fidata Carpark Records. Registrato nel suo studio casalingo di Berkeley, CA nel corso del 2014, il disco trae ispirazione dalle musiche di Big Star, Talking Heads e Todd Rundgren, fagocitando anche l’arte del brasiliano che parlava agli alieni (lo strepitoso Tim Maia, protagonista recente di una retrospettiva – guarda caso – per la Luaka Bop di David Byrne) ed il rare groove dei francesi Cortex. Un disegno esemplare, in cui il protagonista incontrastato è lo stesso Chaz Bundick, personalità multipla nel circuito alternative, capace di supplire al ruolo di scrittore, one-man band e produttore. Fatte salve rare eccezioni. Come la presenza del chitarrista dell’ Unknown Mortal Orchestra Ruban Neilson e del poli-strumentista Julian Lynch.

“Ho realizzato dischi di stampo elettronico/r&b e lavori più tradizionali pur abbracciando un’analoga estetica. Volevo semplicemente vedere cos’altro ci fosse fuori” queste le parole che spende Bundick relativamente al disco. “Arriva tutto da una stessa forma mentis, dallo stesso punto di vista creativo. Sono semplicemente io che cerco di arricchirmi di quello che già avevo, portandolo al livello superiore.”

Un creativo a tutto tondo, cresciuto nella scena locale e formatosi nelle punk rock della high school prima degli anni trascorsi come studente di graphic design alla University of South Carolina. Con la sigla Toro Y Moi è operative sin dal 2001, nel rispetto di una forma intimista che ha sempre premiato l’home recording. Ci sono voluti circa 10 anni per convincere definitivamente i media: la transazione è completata con ‘Causers Of This’, che nel 2010 attira la giusta eco tra stampa ed addetti ai lavori. Contemporaneamente all’attività con l’alter ego Les Sins – decisamente più orientato a sostenere l’ evoluzione delle musiche da dancefloor – Bundick continua ad inanellare una serie di eleganti album solisti, che con questa opera del 2015 toccano forse lo status artistico più elevato. Un pop ultra-raffinato, che si bagna in umori terzomondisti, accendendo nuovamente la fiamma di quei pionieri che a cavallo tra i settanta e gli ottanta posero le basi del cosiddetto art-rock.

http://www.youtube.com/watch?v=DsY22N5D9UY

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Bill Fay, Who Is The Sender ?

Non ha certo bisogno di presentazioni Bill Fay, tanto meno dopo l’eccelso ritorno in scena con Life Is People del 2012, un album che lo riportò immediatamente al centro della diatriba: è forse lui il folk singer meno considerato di tutta la grande ed ecumenica stagione folk (acida) britannica ? Per certi versi riscoperto da Dead Oceans – anche se non va affatto trascurato il contributo di David Tibet alla causa –  che pubblica anche questa sua nuova fatica in uscita a febbraio, il nostro scelse in Jeff Tweedy dei Wilco un più che logico alleato, re-interpretando dello stesso gruppo una strepitosa Jesus, Etc. e dando voce al fenomenale singolo This World, appositamente pennellato da Tweedy. Nelle classifiche di fine anno del 2012 il disco ebbe il suo speso specifico, raccogliendo unanimi consensi soprattutto oltre manica, dove fu incoronato dal periodico Mojo. Anche Nick Cave all’epoca si sbottonò ribadendo l’importanza di questo vocalist. Del resto i suoi due primi album – l’omonimo del 1970 ed il successivo time of The Last Persecution del 1971, entrambi per Deram – sono da annoverare tra le più forbite uscite del genere.

Registrato in estate a Londra presso i famosi Konk Studios (di proprietà dell’icona dei Kinks Ray Davies) Who Is The Sender ? è un affare ancor più intimista. Una collezione di brani che vede ancora il nostro protagonista indiscusso, voce e piano, con il contributo accessorio di altri strumenti ed ospitate minori. Il focus è tutto sull’autore, che ancora una volta siede magistralmente al pianoforte, quasi assorto nell’immagine di copertina che lo ritrae.

Una prosperosa collezione di perle intimiste che descrivono anche la sua progressiva maturazione artistica, dove l’essenzialità diviene strumento magistrale e conturbante. Alla radice dell’uomo, attraverso interpretazioni nobili, dialoghi sostenuti con l’essere ed illuminate introspezioni. Tredici  brani da qui all’eternità.

http://www.youtube.com/watch?v=TjAdWEptHQ4

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Nadine Shah, The Voice

Dopo essersi guadagnata un’invidiabile reputazione ai tempi dell’ esordio del 2013 con ‘Love Your Dum And Mad’ – grazie a un timbro ricco e soulful – Nadine Shah è pronta a dare un successore a quell coragiosso ed ultrasensoriale esperimento pop. Dopo alcune apparizioni dal vivo al fianco di  Depeche Mode e Bat For Lashes, oltre alla prestigiosa esibizione dal vivo al Red Label London Fashion Week della controversa stilista Vivienne Westwood, è tempo di rifugiarsi in studio per porre le basi di ‘Fast Food’, un nuovo entusiasmante capitolo licenziato ancora una volta dalla sussidiaria di R&S Apollo. Realizzato con il fido collaboratore e produttore Ben Hillier (vero e proprio creativo parte integrante del team 140db e già al lavoro con stelle internazionali del calibro di U2, Blur ed Elbow), il nuovo disco vedrà la luce nella prima settimana di aprile. Figlio di un fervido periodo di lavoro dib en due mesi, ‘Fast Food’ si regge su fragili equilibri, drammatico nella giusta misura ma allo stesso tempo estremamente focalizzato, un disco capace di sorprendere per gli arrangiamenti maestosi che mai stridono con la vena sofferta ella principale autrice.

Inciso praticamente in presa diretta nello studio di registrazione di Ben – The Pool nel sud di Londra – l’album conta sugli interventi magistrali del chitarrista Nick Webb e del bassista Pete Jobson (I Am Kloot). Costruito intorno alla medesima livida onestà del debutto, ‘Fast Food’ si rivela attraverso la confidenza di un’artista che della coerenza ha fatto un motto. Un album per cui il sacrificio è stato esemplare, un disco che in sostanza sintetizza l’evoluzione della Shah, solitaria interprete che dal pianoforte muove verso il centro del palco, impugnando tutto il suo possibile eclettismo al fine di spiccare il volo tra le icone in ascesa dell’art-pop. Una diva gotica e dimessa, che lascia trasparire i sogni e bisogni di un’intera generazione, inseguendo le dinamiche della più matura Marianne Faithfull e della più fumosa Kate Bush.

http://www.youtube.com/watch?v=XvNH9byrPpo

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Soft Moon, Più A Fondo

A circa tre anni da ‘Zeros’ Captured Tracks è lieta di presentare ’Deeper’ il nuovo album del visionario compositore di Oakland Luis Vasquez – altrimenti noto come Soft Moon – in uscita questo 31 marzo. Un lavoro sensibilmente più ispirato e introspettivo realizzato con la complicità del produttore Maurizio Baggio.

Lo stesso Baggio (operativo dietro al banco mixer anche per il debutto dell’ex Gowns Ema)  descrive il disco in questi termini: “durante il processo di scrittura, Vasquez si è spinto fino in fondo per scoprire la difficoltà e l’incubo di vivere soli con sè stessi, senza niente o nessuno a cui aggrapparsi” Dal canto suo il compositore ha raccontato che lavorare con Baggio gli ha dato la possibilità di concentrarsi sulla scrittura dei brani più che sulla sperimentazione degli universi sonori, circostanza che ha permesso a Soft Moon di fare un enorme passo avanti.

Il suo timbro vocale non è mai stato così nitido. Un insieme di brani inquietanti, coinvolgenti e malinconici, Deeper è un ritratto penetrante di Vasquez sin nelle sue pieghe più recondite, dove si mostrano la vulnerabilità, la paura e la guarigione. Affrontando le parti più disperate di sè stesso, senza illusioni né consolazioni, Luis riesce in qualche modo a calmare i suoi demoni più inquietanti. Deeper è un’esplorazione intensa dell’esistenza di Vasquez – in cui vecchie ferite vengono riaperte e in cui una profonda rabbia e paranoia vengono trasformate in canto. Per questo il nuovo album può aver consegnato Vasquez alla vita reale, ma lo ha fatto trascinandoci prima in un universo oscuro e pericoloso.

http://www.youtube.com/watch?v=X0Cftwtlho4

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Follakzoid, Chilean Psych

I Föllakzoid hanno iniziato circa setti anni fa con la volontà di creare un’esperienza quasi trascendentale tra gli amici di lunga data Diego, Juan Pablo e Domingo. Provenienti da Santiago, Chile, rappresentano non solo la punta di diamante della scena locale, ma anche una delle più versatili realtà di tutto l’underground sudamericano. Informati in maniera quasi telepatica dalle antiche tradizioni musicali delle Ande, i ragazzi hanno progressivamente iniziato ad integrare le influenze più sacre con i suoni contemporanei, creando atmosfere allo stesso tempo ricche e minimali. Il numero romano III indica per l’appunto la terza fatica da studio, un luogo in cui sigillare remote esperienze guardando in prospettiva il futuro.

Una svolta timbrica che pur basandosi su figure ripetute ed atmosfere solo apparentemente monocordi, vuole stabilire un ponte con altri universi sonori. Ne consegue una svolta quasi capitale. Dopo aver appunto registrato e mixato l’album presso il proprio studio  (nel piccolo edificio della BYM Records), i nostri  chiamano all’appello un gigante dell’elettronica tedesca – come potremmo definirlo altrimenti ? – quale Atom TM, maestro insindacabile che molti di voi conosceranno anche con gli alter ego di Lassigue Bendthaus e Senor Coconut. A lui spetta ricreare le parti sintetiche del disco, rifacendosi ad un taglio letteralmente analogico. Suoni atonali, alla ricerca di frequenze concrete e glitch organici. Tanto che il sintetizzatore Korg  utilizzato da Uwe fu in principio nell’equipaggiamento dei Kraftwerk in un tour degli anni ’80. Fu proprio Florian Schneider a donarlo esplicitamente al musicista. Da ciò consegue un viaggio minimale in quattro parti dove potrete ascoltare il linguaggio dei Föllakzoid svilupparsi in qualcosa di più oscuro e tagliente, con un occhio particolare al groove. Negli anni passati la band ha letteralmente trionfato sui maggiori palchi europei ed internazionali, raccogliendo unanimi consensi al Primavera Sound Festival (Porto e Barcelona), ATP Festival in Gran Bretagna, Musique Volantes a Lyon e Lollapalooza in Chile. A pochi mesi dalla pubblicazione dell’album il gruppo salirà sull’iconografico palco dell’ Austin Psych Fest, per celebrare questa sua incredibile metamorfosi.

http://www.youtube.com/watch?v=coBQQMxJlSo

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BJM E La Nouvelle Vague

‘Musique de film imaginé’ (musica per un film immaginato) è una colonna sonora che rende omaggio ai grandi registi europei dei tardi anni ‘50 e ‘60, come François Truffaut e Jean-Luc Godard (giusto per citarne un paio), creata da Anton Newcombe in ‘rappresentanza’ dei Brian Jonestown Massacre per un immaginario film francese. Ospiti in queste coraggiose sinfonie due atipiche vocalist che utilizzano proprio l’idioma francofono: la chanteuse e polistrumentista d’oltralpe SoKo (nome d’arte di Stéphanie Sokolinski, anche attrice occasionale di evidenti origini polacche) e la figlia d’arte Asia Argento, figura emblematica di tutta la cultura pop con numerosi link al mondo della celluloide. SoKo è sotto contratto per la casa editrice Because Music ed il suo brano ‘We Might Be Dead by Tomorrow’ è stato di supporto al video virale ‘First Kiss’, che ha guadagnato oltre 63 milioni di visualizzazioni debuttando al numero 9 della Billboard Hot 100 lo scorso anno. Asia Argento, già protagonista in alcuni clip musicali di Marilyn Manson, Placebo e Tim Burgess, ha di recente scritto il copione per il video e cortometraggio del produttore hip-hop ASAP Rocky a titolo ‘Phoenix’, anch’esso con un numero spropositato di visualizzazioni. Entrambe le performance vocali sono in lingua, proprio per collegarsi al concept originale del disco. Anton Newcombe ha inciso l’album nella città d’adozione Berlino nell’agosto del 2014, dopo un tour europeo di particolare successo con la sua creatura BJM.

Anton dice del lavoro:  “L’ album che ascolterete è una colonna sonora, la mia personale creazione, un tributo ai grandi registi e produttori cinematografici di un’epoca che si staglia oltre il nostro tempo. Lasciando alle persone più intelligenti la cura di immaginare un arte nell’ombra della sua gloria originaria. La cosa interessante rispetto a questo progetto è che la pellicola non esiste davvero! Aldilà di ciò, ho immaginato e realizzato il suo accompagnamento sonoro… Ora spetta a voi, che siete gli ultimi depositari di questa produzione, immaginarne la giusta controparte visiva”
Un’esperienza dunque inedita per un artista che ha ancora la capacità di osare, virando con decisione dal rock’ n’ roll psichedelico con cui si era storicamente imposto per affacciarsi su scenari prevalentemente strumentali in bilico tra musica gotica, riflussi acquatici e pop trasfigurato.

http://www.youtube.com/watch?v=_r3ddNGz1C8

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Turchi E Viterbini: Scrapyard !

Il Blues che non ti aspetti. Quello fresco e giovane, tirato giù da due talenti che assieme danno vita ad un lavoro tradizionale e contemporaneo al tempo stesso. La storia è questa: Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) eReed Turchi (piccolo idolo alternative country/blues, descritto da più parti come il figlio illegittimo di Randy Newman e JJ Cale) si incontrano per la prima volta a Roma, in occasione del primo tour dell’americano. Si annusano, percepiscono affinità, si ritrovano su un palco a suonare in piena improvvisazione.

Nasce un’idea, che si concretizza grazie al tour statunitense di Adriano Viterbini a Memphis, lì presente in quanto impegnato a concorrere al 30th International Blues Challenge del gennaio 2014 in rappresentanza dell’associazioneMojo Station (uno dei marchi più longevi della capitale per quanto riguarda la diffusione del blues e delle sue culture). Non paghi i due, dopo aver calpestato i tappeti dei mitici Ardent Studios, si ritrovano a Roma in occasione del secondo tour italiano di Turchi presso lo Studio Nero per proseguire le registrazioni. Che portano alla nascita di “Scrapyard”: otto brani la cui matrice sonora è deliberatamente  Blues, nelle forme Hill-Country e Delta,  cui si aggiungono elementi American-Primitive oltre ad una spiccata visione ‘cinematica’. Il tutto ideato, pensato e suonato con raro gusto ed equilibrio. Due chitarre, due città, due direzioni di viaggio, due studi di registrazione, una radio ed un festival. Il disco pubblicato negli Stati Uniti dalla Devil Down Records è ora licenziato per il mercato europeo ed italiano da Goodfellas.

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GULATY FOTO 2

Gualty, Roba Dell’altro Mondo

“Roba dell’altro mondo” è il nuovo progetto di Simone Tilli e Antonio Inserillo in arte GUALTY, hanno un passato importante nella scena metal e rock (RHumornero, Deadburger, Deathss e altri), un presente nell’elettronica e folk ed un futuro nella contaminazione e nella riscoperta della wave più minimale. Il disco – che viene pubblicato da Goodfellas a gennaio – è stato scritto a 4 mani e completamente realizzatoo in casa. Antonio Inserillo ha tradotto le intenzioni di Simone Tilli e costruito tutto il disco occupandosi dei vari strumenti, nonché della registrazione e del mastering. Dodici mesi di certosino lavoro per la cronaca. Lo stile di “Roba dell’altro mondo” può definirsi a ragione eclettico: rock, new wave, suggestioni elettroniche e ballate acustiche trovano un comune denominatore in temi ricorrenti quali la follia od il viaggio.

Il duo gigliato-pisano si è avvalso di alcuni tra i musicisti più ispirati della scena locale: Manuele Scatena (Senza freni) al piano, Emiliano “Biacco” Marianelli (The Bugz, Cabin Fever) alle chitarre e Michele “Berva” Senesi,  curatore dell’aspetto artistico. “Roba dell’altro mondo” è un viaggio fuori e dentro di sè, una riflessione in un letto d’ospedale dove Simone lo ha ideato.

Con il fido tablet ha impresso le prime travagliate idee che poi ha portato in studio da Antonio che lo ha poi  sostituito, interpolato, amplificato.  La voce di Simone trova lo spazio necessario, senza fronzoli o facili riferimenti letterari, comunicando tutta la sua volontà plastica, evocando molteplici stati d’animo che si susseguono in pieno caos umano. Involontariamente la vena pop del duo viene fuori a sprazzi, del resto il disco non ha una propria collocazione, seguendo un preciso costrutto merceologico. Fluttua e oscilla come quella verità artistica che rasenta la lucida follia .

Tricky , Telefon Tel A Viv, Funky Porcini ,   sono solo alcuni dei molteplici nomi che hanno influenzato il duo in questa mirabolante avventura.