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John Milk, treat me right

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John Milk è il vostro prossimo cocktail musicale preferito! Prendete una buona dose di soul americano dei sixties, aggiungete al mixer il meglio della musica funk del decennio successivo… scuotete questa bomba in maniera decisa, senza farvi mancare un pizzico di afrobeat ed un tocco di smooth jazz. Ci siamo, siete appena entrati nel territorio dei John Milk e del loro primo album ‘Treat Me Right’. Un disco che possibilmente vi accompagnerà sulla via lattea…Dopo aver collaborato con Big Single e Favorite Recordings, John Milk lavora in grande confidenza con Bruno “Patchworks” Hovart, uno dei più essenziali produttori francofoni. Concettualmente parlando John Milk incarna la ricerca abstract funk di un marchio storico come Stones Throw ed il tocco confidenziale di formazioni come Chin-Chin (Def Jux)  e Plantlife. Ispirato e graffiante, il suo suono pende il meglio senza fare alcuna distinzione, alimentando in maniera globale il concetto di groove. Nessuna sorpresa dunque che una label prestigiosa come la giapponese P-Vine Records li stia tenendo incessantemente d’occhio
Underdog Records è invece il marchio per cui la crew di Lione esordisce esordisce sulla lunga distanza, la loro musica è immersa nella cultura black, mantenendo elevato il livello di gioia e celebrazione. E’ una musica fresca ed avvincente, fatta di organi chiesastici e fianchi in movimento: una combinazione avvincente.

 

 

 

Matana Roberts 2

Matana Roberts, Chapter 3

Matana Roberts 2

 

Matana Roberts è una delle più acclamate figure del nuovo jazz, capace di confrontarsi allo stesso tempo con la grande eredità della musica impro e le più intime radici della black (dal gospel all’r&b, attraverso le molteplici declinazioni del verbo). Acclamata anche per la sua visione socio-politica e la sua intrepida estetica, la compositrice ha creato un ciclo di pubblicazioni che rappresentano un unicum, nella prospettiva di un ricerca che vede il superamento delle barriere pre-costituite.

Siamo al terzo capitolo della saga Coin Coin, inaugurata nel 2011 e documentata con sommo gaudio dalla canadese Constellation, che in occasione del primo episodio mise proprio a disposizione l’emblematico studio di registrazione Hotel2Tango di base a Montreal. Dopo il primo corale paragrafo, per il secondo capitolo Matana si orienta verso un approccio più mediato, riducendo di gran lunga il cast dei musicisti coinvolti e puntando anche su una spericolata interazione vocale con liturgie più classiche.

La Robertsè reduce anche dal conseguimento di due prestigiosi premi: l’Herb Alpert Award nel campo delle arti ed il Doris Duke Impact Award, entrambi nel 2014. Riferendosi al suo approccio come ad un avvolgente suono panoramico, con la terza installazione implementa questa metafora, lavorando di concerto a field recordings, loop e ad un effettistica che rimanda alle più primitive dinamiche e metodologie elettroniche. Il sax non è l’univa voce solista, ci sono anche interventi vocali e recitazioni accorate ad impreziosire lo svolgimento dell’opera. Come per il precedente episodio i brani si susseguono senza soluzione di continuità, amplificando l’idea di concept e prospettando una suite inedita. Frammenti di brani tradizionali  hanno la funzione di rappresentare le pietre d’angolo di questo edifico. Per l’occasione si ritorna alla squadra del primo disco per Constellation, con il coinvolgimento dell’ingegnere del suono Radwan Ghazi Moumneh e la scelta metodica dell’ Hotel2Tango. Il risultato è una testimonianza viscerale del suo sentire, tra strutture ordinate e slanci impro, una genesi che ricopre in toto l’esperienza artistica della protagonista, svezzatasi alla scuola AACM  di Chicago. Quello che ascolterete è uno degli album solisti più accorati dell’intera stagione, il risultato di un lungo viaggio attraverso l’america del sud agli albori del 2014, raccogliendo testimonianze e documentazioni sul campo, al fine di trasporre in musica una visione il più possibile attenta alla genesi del popolo afro-americano.

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Bettye LaVette performing at the Highline Ballroom, 5/26/10, New York City

Bettye Lavette, queen of soul

Bettye LaVette performing at the Highline Ballroom, 5/26/10, New York City

Bettye LaVette performing at the Highline Ballroom, 5/26/10, New York City

Bettye LaVette è una vera e propria leggenda musicale, con un carriera di oltre 50 anni alle spalle è oggi riconosciuta tra le più grandi interpreti della musica soul e pop. Una carriera strepitosa fatta anche di preziose apparizioni, come quella al fianco di Jon Bon Jovi durante il discorso inaugurale del presidente Barack Obama alla Casa Bianca nel 2009. O anche quella solida rivisitazione di Love Reign O’er Me degli Who al Kennedy Center Honors in un tributo che ha fatto letteralmente commuovere Pete Townshend e paralizzato Roger Daltrey. La sua discografia abbraccia così 5 decadi, ma è proprio nell’ultima che è stata finalmente riconosciuto il suo valore tra le migliori voci femminili d’America.

Nel2005 haregistrato l’album I’ve Got My Own Hell to Raise, che è valso anche una nomination al Grammy al produttore Joe Henry, uno dei più grandi cantautori americani contemporanei ed accidentalmente cognato di Madonna. Lo stesso Henry riflette sul valore assoluto di queste performance, ribadendo come Bettye abbia sbaragliato la concorrenza tanto nell’ambito soul che in quello blues, riportando finalmente alla luce un talento per troppo tempo oscurato dai media. Il suo non è un ritorno, nonostante la percezione comune del pubblico, la sua attività non si è mai drasticamente interrotta, semmai ha conosciuto oggi strade migliori per contemplare la notorietà. Altri due album fecero seguito a quella fortunata esperienza:The Scene Of The Crime del 2007 e Interpretations: The British Rock Songbook del 2010.

Oggi è un nuovo mattino, e dopo l’accordo siglato con la britannica Cherry Red, Bettye stringe di nuovo la facoltosa alleanza con Joe Henry, per ribadire la sua statura nel sorprendente Worthy, un album di cover fuori dal comune. La regina del soul si confronta così con 11 brani-capolavoro scritti da giganti che rispondono ai nomi di  Mick Jagger & Keith Richards, Bob Dylan, John Lennon & Paul McCartney, Mickey Newbury, Beth Nielsen Chapman & Mary Gauthier (che han proprio siglato la title-track) e dello stesso Joe Henry. Un  talento straordinario celebrato alla soglia dei 69 anni, una storia ancora aperta e non di meno affascinante.

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Luca Sapio, A Real Soulman

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Il 18 novembre esce in Italia “EVERYDAY IS GONNA BE THE DAY”, il secondo disco di LUCA SAPIO, uno dei migliori vocalist bianchi sulla scena soul contemporanea.  L’album arriva a due anni di distanza dal disco d’esordio “Who Knows” che l’ha portato ad esibirsi in una serie di concerti tutti sold out in Austria, Svizzera e Germania e come guest star all’Harald Schmidt Show (lo storico show televisivo del sabato sera tedesco). 

«La parola chiave è ancora una volta “LESS IS MORE” – racconta Luca SapioNiente orpelli, niente effetti speciali; solo le canzoni, che arrivano dritte al cuore dell’ascoltatore. Il messaggio in questi tempi bui è fortissimo “Ogni giorno può essere il giorno giusto”,il giorno che tutti stiamo aspettando, quello del cambiamento» “Everyday Is Gonna Be The Day” (Label GMG distribuito da Goodfellas) è stato registrato tutto dal vivo ed in analogico  insieme alla sua band The Dark Shadows,  tra gli studi della Daptone e della Diamond Mine di New York e masterizzato dal Grammy Winner Brian Lucey nel Magic Garden Mastering di Los Angeles .

Prodotto e arrangiato, come il precedente “Who knows”, dal guru della soul music Thomas “TNT” Brenneck (l’uomo dietro il successo di Charles Bradley ed al fianco si Artisti come Amy Whinehouse, Cee-Lo Green ed Erykah Badu, tra gli altri), “Everyday Is Gonna Be The Day è un disco nel quale le sonorità psichedeliche delle colonne sonore italiane degli anni70’  si incontrano con il soul intriso di blues e di gospel del sud degli Stati Uniti.

Queste le 13 date del tour europeo ad oggi confermate che vedrà Luca Sapio e i The Dark Shadows impegnati sui palchi delle maggiori capitali europee ad apertura del live della leggenda del soul e funk Sharon Jones And The Dap-Kings: il31 ottobre al Vorruit di Gent (Belgio); il 1 novembre a Le 106 di Rouen (Francia); il 2 novembre alla Laiterie diStrasburgo (Francia); il 3 novembre al Radiant di Lione (Francia); il 4 novembre alla Coop de Mai di Clermont Ferrand (Francia); il 6 novembre all’Het Depot di Leuven (Belgio); il 7 novembre al Tivoli Vredenburg di Utrecht(Paesi Bassi), l’8 novembre all’Hedon di Zwolle (Paesi Bassi); il 9 novembre al Patronaat di Haarlem (Paesi Bassi); l’11 novembre ai Magazzini Generali di Milano; il 12 novembre al Kaserne – Rosstall di Basilea (Svizzera); il 14 novembrea Les Docks di Losanna (Svizzera); il 23 novembre all’Aula Magna di Lisbona (Portogallo).

http://www.youtube.com/watch?v=l8mBiAttJAs

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Sly’s Stone Flower

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Per Light In The Attic un altro miracoloso ripescaggio. Nel 1970, Sly & The Family Stone erano letteralmente all’apice della loro popolarità, ma il leader  era già mentalmente in viaggio verso una nuova dimensione. I primi segni di questo cambio radicale sono già evidenti dal catalogo della sua nuova etichetta, Stone Flower, un marchio peculiare e per certi versi pionieristico che avrebbe portato in scena una serie di 45 giri accreditati ad artisti diversi, con in comune la smania per il suono minimale dell’electro-funk.  La mano di Sly si sarebbe comunque estesa ai contenuti ed al design di questi cimeli, che indelebilmente avrebbero rappresentato il passo successivo nella carriera dell’uomo.

Messa in piedi in combutta con il manager David Kapralik e con distribuzione Atlantic Records, Stone Flower è stato indubbiamente un affare di famiglia, parafrasando uno dei più celebri brani del gruppo. La prima pubblicazione fu accreditata alle Little Sister, fronteggiate da Vaetta Stewart, sorella minore di Sly. Fondata nel 1971 l’etichetta non ebbe lunga vita ma rappresentò comunque un esperimento commerciale di importanza vitale, la cui influenza sarebbe giunta sino agli albori degli anni zero. Proprio qui Sly inizia a confrontarsi con le nuove tecnologie ed in particolare con la drum machine Maestro Rhythm King. Unitamente ad un’effettistica tra il languido e la bassa fedeltà (con un corollario di organi e chitarre acide) la produzione per Stone Flower avrebbe anticipato le mosse del capolavoro ‘There’s A Riot Goin’ On’

Dopo il debutto con ‘You’re The One’ le Little Sister replicano con ‘Stanga’, dove il pedale wah-wah è protagonista. La terza uscita è accreditata ai misteriosi 6IX, un sestetto multirazziale di stampo decisamente rock che avrebbe riproposto una versione ultra-rallentata di ’Dynamite’ di Sly & the Family Stone. Joe Hicks avrebbe inciso l’ultimo 45 giri della serie, con la pulsante elettronica black di ‘Life And Death In G&A’. Questa compilazione – attesissima non solo dai sostenitori di lunga data della band – restituisce un momento importante nella storia della musica contemporanea, giusto al crocevia tra rock e soul, con l’ausilio delle nuove tecnologie che avrebbero reso gli studi di registrazioni delle piccole navicelle spaziali mobili. Le esaustive note di copertina di Alec Palao ed un’esclusiva intervista con Sly Stone rendono questo documento ancor più indispensabile.

http://www.youtube.com/watch?v=1oCyHAhJgFA

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