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Follakzoid, Chilean Psych

I Föllakzoid hanno iniziato circa setti anni fa con la volontà di creare un’esperienza quasi trascendentale tra gli amici di lunga data Diego, Juan Pablo e Domingo. Provenienti da Santiago, Chile, rappresentano non solo la punta di diamante della scena locale, ma anche una delle più versatili realtà di tutto l’underground sudamericano. Informati in maniera quasi telepatica dalle antiche tradizioni musicali delle Ande, i ragazzi hanno progressivamente iniziato ad integrare le influenze più sacre con i suoni contemporanei, creando atmosfere allo stesso tempo ricche e minimali. Il numero romano III indica per l’appunto la terza fatica da studio, un luogo in cui sigillare remote esperienze guardando in prospettiva il futuro.

Una svolta timbrica che pur basandosi su figure ripetute ed atmosfere solo apparentemente monocordi, vuole stabilire un ponte con altri universi sonori. Ne consegue una svolta quasi capitale. Dopo aver appunto registrato e mixato l’album presso il proprio studio  (nel piccolo edificio della BYM Records), i nostri  chiamano all’appello un gigante dell’elettronica tedesca – come potremmo definirlo altrimenti ? – quale Atom TM, maestro insindacabile che molti di voi conosceranno anche con gli alter ego di Lassigue Bendthaus e Senor Coconut. A lui spetta ricreare le parti sintetiche del disco, rifacendosi ad un taglio letteralmente analogico. Suoni atonali, alla ricerca di frequenze concrete e glitch organici. Tanto che il sintetizzatore Korg  utilizzato da Uwe fu in principio nell’equipaggiamento dei Kraftwerk in un tour degli anni ’80. Fu proprio Florian Schneider a donarlo esplicitamente al musicista. Da ciò consegue un viaggio minimale in quattro parti dove potrete ascoltare il linguaggio dei Föllakzoid svilupparsi in qualcosa di più oscuro e tagliente, con un occhio particolare al groove. Negli anni passati la band ha letteralmente trionfato sui maggiori palchi europei ed internazionali, raccogliendo unanimi consensi al Primavera Sound Festival (Porto e Barcelona), ATP Festival in Gran Bretagna, Musique Volantes a Lyon e Lollapalooza in Chile. A pochi mesi dalla pubblicazione dell’album il gruppo salirà sull’iconografico palco dell’ Austin Psych Fest, per celebrare questa sua incredibile metamorfosi.

http://www.youtube.com/watch?v=coBQQMxJlSo

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Ryley Walker, il futuro è qui

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La copertina di ‘His Band And The Street Choir’ di Van Morrison deve aver condizionato non solo le scelte estetiche di Ryley Walker, un talento puro che all’età di 25 anni sembra aver sbaragliato ogni concorrenza in termini di maturità ed espressione del proprio io musicale. Il disco dello scorso anno – ‘All Kinds Of You’ edito dalla benemerita Tompkins Square – ha aperto la strada ai più nobili riconoscimenti della stampa specializzata, in attesa del definitivo allungo con ‘Primrose Green’, di imminente pubblicazione per Dead Oceans. Cresciuto sulle rive del vecchio fiume Rock nel nord dell’ Illinois, Ryley conoscerà un’adolescenza tranquilla prima di trasferirsi a Chicago nel 2007, per iscriversi al college. Qui inizia a frequentare con assiduità la locale scena dei club, confrontandosi con il lascito del post-rock e le più nerborute e decadenti manifestazioni noise (i gusti del nostro rimangono ad oggi profondamente disparati). Nel 2011, poco più che ventenne, il nostro si insinua adeguatamente nella tradizione del fingerpicking, osservando con parsimonia la dottrina dei vari John Fahey, Robbie Basho e Leo Kottke. Lo scenario sarebbe presto cambiato negli anni a venire, quando il gusto anglofono avrebbe preso il sopravvento, spostando l’asse degli interessi sulla perfida Albione, nello sposalizio naturale con lo stile conclamato di Bert Jansch e John Renbourn.

Per il nuovo album Ryley assolda un consistente numero di vecchi e nuovi talenti della windy city, andando a muoversi nei circuiti del jazz di ricerca e del rock sperimentale. L’apertura con la title-track ha del miracoloso, uno di quei brani che di diritto entrano nei dizionari rock di sempre, parafrasando le estatiche movenze del Tim Buckley altezza ‘Starsailor’. Con la successiva ‘Summer Dress’ gli arrangiamenti jazzy (l’uso del vibrafono è quintessenziale) sono ancor più determinanti, merito degli eccezionali comprimari coinvolti in questa pastorale avventura.  Anton Hatwich (contrabasso, Dave Rempis Quartet, Keefe Jackson ed una moltitudine di compagini avant) Frank Rosaly (batteria, Joshua Abrams Quartet, Scorch Trio, Jason Adasiewicz’s Rolldown)  Brian Sulpizio (chitarra, già nel precedente disco, un vero e proprio campione di gusto già frequentatore de circuiti rumoristi ed elettronici) e Ben Boye (tastiere, Bonnie Prince Billy, Angel Olsen) costituiscono più di un sostentamento per la penna dell’autore, capace di librarsi su di un tappeto sonoro ammaliante.

Per immergersi nello spirito dell’americana occorre voltare lato: ‘On The Banks Of The Old Kishwaukee’ è un’autentica testimonianza di vita, le fedeli memorie di Ryley che sulle sponde del fiume assisteva ai più classici battesimi nell’acqua. Più che a un’idea di redenzione il rimando è allo spoglio rituale, nelle acque limacciose del fiume con uno stuolo di partecipanti più che altro irritati. Per ascoltare il delizioso fingerpicking di ‘Sweet Satisfaction’ bisogna prima scomodare il John Martyn di ‘Solid Air’, pur considerando l’originalità del pianoforte di Ben Boye, qui particolarmente rivelatorio. Un’esperienza totale, tanto da candidare  ’Primrose Green’ ad una delle più miracolose pubblicazioni di quest’anno, proiettando il talento americano nella sfera dei grandi cantautori.

http://www.youtube.com/watch?v=96qBM4LL2ps