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Notwist, Hidden Soundtracks

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Quando i  Notwist sono tornati in pista con il loro acclamato settimo album ‘Close To The Glass’ (il loro debutto per la storica Sub Pop Records) agli albori del 2014, molti ascoltatori rimasero incantati dalla bellezza dell’epica ‘Lineri’. L’unica traccia strumentale del disco, nonostante il modus operandi – a detta del cantante Markus Acher – fosse informato da un profondo mood di ricerca, lo stesso che potesse contemplare le oscure libraries della De Wolfe, il jazz di casa MPS e l’elettronica ovviamente made in Germany. Bisogna fare a questo punto un passo indietro e considerare come la stessa evoluzione del gruppo sia stata radicale, dagli esordi quasi in sintonia con certo dissennato hardcore americano, ai passi successivi che oltre a prendere a modello il Neil Young elettrico sterzavano in direzione hard & heavy.

‘Laughing Stock’ dei Talk Talk fu probabilmente il disco che indicò la via ai nostri , condizionandone i futuri esperimenti. Se pensiamo a Tied & Tickled Trio, Village of Savoonga ed alle sortite soliste di Console, non c’è da meravigliarsi che un disco interamente strumentale potesse entrare nell’orbita Notwist. Che proprio tra il 2008 ed il 2014 lavorano a numerose produzioni teatrali e radiodrammi. ‘The Messier Objects’ è così un’attendibile finestra su questi anni di intensi lavori ‘carbonari’. Una compilation che nutre ancora il mito della formazione tedesca, tra le più raffinate del circuito alternative.

Sono 17 i brani – a volte poco più che funzionali sketch – della raccolta, dai collage simil-elettronici all’evidente trapasso post-rock di ‘Das Spiel ist aus'; potenziando la propria visione con l’ingresso di sintetizzatori modulari, percussioni analogiche ed addirittura una sezione fiati (‘Object 11′), i nostri elaborano grooves gentili che renderanno ‘The Messier Objects’ essenziale non solo al palato dei loro numerosi estimatori.

John-Carpenter-Lost-Themes

Carpenter – Lost Themes

John-Carpenter-Lost-Themes

John Carpenter è stato responsabile per alcune tra le migliori colonne sonore horror e science-fiction della storia contemporanea, associando alla sua imprevedibilità dietro alla macchina da presa una verve compositiva impagabile. Implacabile il suo stile, riconoscibilissimo e capace di insidiare da vicino alcuni protagonisti della scena electro come alcuni artisti post-rock riconvertitisi al verbo della musica cosmica. Le severe immagini delle sue pellicole albergano nelle nostre più recondite memorie, proprio perchè Carpenter aldilà di tutto è stato un fenomeno generazionale. Istintivamente quei fraseggi al piano o al synth rimandano alle scene topiche della sua filmografia: una babysitter  minacciata da un killer seriale, un denso muro di nebbia che nasconde un vascello fantasma, lottatori di kung-fu più veloci della luce o specchi che nascondono il passaggio segreto per l’inferno. Tutte le musiche contenute in Lost Themes – in uscita per Sacred Bones – hanno un’unica finalità: spingere i numerosi seguaci di Carpenter a visualizzare i propri incubi personali.

Nelle parole del regista/musicista Lost Themes è inteso come un nobile divertimento, ragionare in prospettiva delle immagini può essere buono o cattivo a seconda dei casi,  ma è ciò a cui Carpenter ci aveva abituati. Qui non ci sono state pressioni. Nessun attore che pretendesse di sapere cosa fare. Nessuna attesa dalle maestranze. Nessuna sala di montaggio e soprattutto nessuna scadenza asfissiante. Semplice divertimento. E non avrei potuto richiedere un miglior equipaggiamento casalingo, alle dipendenze di collaboratori come Cody (Carpenter, della band Ludrium) e Daniel (Davies, che ha scritto la canzone per I, Frankenstein) capaci di sollecitare idee nello stesso momento in cui ci mettevamo ad improvvisare. Il piano era quello di rendere la mia musica più completa e ricca, perché avevamo un numero illimitato di tracce. Non mi stavo confrontando solo ed esclusivamente con l’analogico. E’ un nuovo mondo. E non c’era assolutamente nulla nelle nostre teste quando abbiamo iniziato a ragionare su questa produzione.

Come nello stile carpenteriano, la ripetizione è la chiave di volta, una forza tumultuosa che innerva le corde del piano e dell’orango, attraversando tutto il corpo percussivo delle composizioni. I fans del cinema horror ricorderanno così oltre ai classici lavori di Carpenter – Halloween 13 o Assault on Precint 13 ad esempio – anche le trovate di alcuni pionieri come il Mike Oldfield di Tubular Bells od i Goblin di Suspiria.

Sono piccolo tracce da alcuni film immaginari, spero che qualcuno venga ispirato a tal punto dalla musica da poter creare la sua pellicola ex-novo.

http://www.youtube.com/watch?v=tyNuWCjc-bg

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Klaus Schulze Live

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…nel corso della sua carriera Klaus ha partecipato ad almeno 380 concerti, 119 come solista ed i restanti come ospite o componente di gruppi a loro modo seminali come Psy Free, Ash Ra Tempel, Tangerine Dream o Stomu Yamash’ta’s GO. Alcuni di questi live sono stati registrati e gelosamente conservati, altri già ufficialmente pubblicati. Il primo della serie fu l’emblematico ‘…Live…’ dato alle stampe nel 1980 ed accompagnato da una dichiarazione ad effetto dello stesso Klaus: ‘questo è il mio primo ed ultimo disco dal vivo’. La storia ci ha raccontato qualcosa di diverso, consegnandoci in realtà altre fatiche dal vivo del corriere cosmico per eccellenza.

Queste incisioni in particolare appartengono a un tour del 1977, già parzialmente edito su di una pubblicazione pirata. L’idea di rendere pubbliche quelle incisioni ha portato anche ad un ridimensionamento della condizione ‘bootleg’, nel rendere ufficiali questi titoli, si procederà a tutta una valorizzazione dell’ampio catalogo del nostro, fatto appunto di ispirate performance live. Le tre composizioni presentate durante uno show all’università di Brussels nel 1977 erano troppo lunghe e corpose per occupare un solo cd, ma allo stesso tempo non sufficienti a pubblicare un doppio… per questo motivo ho provveduto ad aggiungere una traccia bonus dai miei archivi personali per completare il secondo cd. Questo pezzo è il primo eseguito da Klaus nella città olandese di Arnhem nel 1979. Posizionammo il registratore a cassette dello stesso Klaus sul palco, proprio nel mezzo dei due monitor.. Un approccio primitive se vogliamo, ma al tempo le cose andavano esattamente in questo modo. Principalmente per Klaus, che amava riascoltarsi nelle occasionali camere di hotel durante la notte munito di fedeleissime cuffie. Dopo un’esibizione del genere non poteva certo coricarsi e prendere sonno come se nulla fosse accaduto…

‘Dalle note originali del biografo Klaus Dieter Mueller’

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Anthony Pateras Meets Mike Patton

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Un’altra straordinaria collaborazione prende il via sotto l’egida della Ipecac di Mike Patton, protagonista a sua volta del progetto Tetema in combutta col musicista e compositore australiano Anthony Pateras. ‘Geocidal’ è la straordinaria visione di questo originale guastatore, che vanta una discografia corposa con pubblicazioni per prestigiose etichette come Tzadik e Mego, sempre in bilico tra musica elettronica e contemporanea. Quindici mesi per mettere insieme i piccoli pezzi di un mosaico ora imponente. Dall’elettronica analogica – segno distintivo ed indelebile – all‘ utilizzo pedissequo di archi, strumenti a fiato e percussioni distintamente ‘orchestrali’, registrati in luoghi necessariamente diversi, proprio per restituire alle composizioni un carattere distinto. La voce di Patton è il collante, lo sprono, il faro nel nebuloso porto di mare. Una consegna precisa quella di Pateras, immortalare le singole voci strumentali in presa diretta, senza ricorrere in maniera invasiva alle macchine, conservando il proposito della performance dal volto umano.

Per ‘Geocidal’ il bilanciamento tra questi elementi caleidoscopici passa necessariamente da picchi esplosivi a momenti di pura estasi elettronica. Un disco che sa essere frenetico senza rinunciare a momenti ritmici simil-trance, in cui le percussioni introducono groove spaziali in una visione jazz davvero globale. Il taglio cinematico è assicurato dagli archi e dal pianoforte, che insinuandosi perentoriamente sottopelle, condiscono l’atmosfera di una drammaticità quasi classica. Per Mike ci sono spazi enormi, distese a volte siderali in cui estendere il proprio dominio, ricorrendo alle sue celebri tecniche vocali estese.

Un album inclassificabile a conti fatti, per Pateras la libertà stilistica è una condizione cui è impossibile rinunciare. La qualità non viene mai svilita in favore della quantità, nonostante la ricchezza delle fonti non si ha mai l’impressione di un prodotto sbiadito a causa di dinamiche accelerate. Il talento risiede nella proprietà di linguaggio e nella conoscenza dei mezzi, e l’idea d’0’avanguardia di Pateras non rifiuta certo i luoghi più impervi della musica popolare, fornendo così un sunto delle innumerevoli musiche di confine dell’oggi. Un classico immediato verrebbe voglia di esclamare.

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