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BLACK MOUNTAIN sulla copertina del MUCCHIO di marzo

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BLACK MOUNTAIN sulla copertina del nuovo numero del Mucchio, dove Stephen McBean racconta la genesi del nuovo potentissimo lavoro, il quarto disco dal perentorio titolo di ‘IV’, e i progetti futuri.

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Il 1° aprile i canadesi BLACK MOUNTAIN pubblicheranno per Jagjaguwar Records l’attesissimo ‘IV’ e torneranno a suonare dal vivo nel nostro Paese. Un ritorno eccellente e imperioso, che spazza via ogni eventuale dubbio sullo stato vitale della musica rock.

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I Black Mountain suoneranno dal vivo in Italia il 4 aprile allo Spazio 211 di TORINO e il 5 al Locomotiv Club di BOLOGNA – Info: www.barleyarts.it

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Briana Marela, primo album su Jagjaguwar

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Briana Marela è una giovane artista di Seattle, una cantautrice dall’animo moderno capace di unire l’amore per la chitarra classica con le orchestrazioni dei Sigur Ros e delle Amiina. Nel 2012, durante il tour di supporto del suo primo disco, Briana ha conosciuto il fotografo Scott Alario che la ha messa in contatto con il musicista e produttore Alex Somers, compagno di vita e stretto collaboratore di Jonsi dei Sigur Ros. Proprio con l’aiuto di Alex Somers Briana ha iniziato a lavorare su ‘All Around Us’ debutto per Jagjaguwar. Il debutto di Briana è stato registrato in Islanda, dove Briana Marela ha raggiunto Alex per lavorare nel paese che ha reso unici i lavori di Sigur Ros, Bjork e Olafur Arnalds.

La magia creata dalla collaborazione tra i due è particolarmente evidente sul brano ‘Surrender’, con la delicata voce di Briana in evidenza e la ricercata produzione di Alex in sottofondo. L’esordio di Briana è magia bianca, ancestrale e vicina alla natura, un richiamo bilanciato dall’amore per il folk e i beat ricercati della produzione di Alex Somers. ‘All Around Us’ è un album che incanterà i fan dei Sigur Ros e delle Amiina, capace di ricordare in alcuni passaggi la ricerca stilistica di Julianna Barwick.

Briana Marela sarà in tour per tutta l’estate e il suo esordio ‘All Around Us’ pubblicato da Jagjaguwar il 21 Agosto.

Info:
http://www.brianamarela.com/
https://www.facebook.com/brianamarelamusic

 

 

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Sharon Van Etten, Nuovo Ep

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Sharon Van Etten non ha mai avuto necessità di grandi spazi per rivelare grandi intenzioni. Con quattro album pubblicati negli ultimi sei anni, è divenuta una delle più astute cartografe del cuore, abile nel catturare tribolazioni emotive e trionfi umorali con linee incisive ed una voce che non perde nulla nella traduzione e trasmissione dei sentimenti. Il suo secondo, epico, disco ha avuto bisogno di appena sette trace per rispettarne il titolo. ‘Tramp’ del 2012 e lo straordinario ‘Are We There’ dello scorso anno hanno definitivamente aperto le porte dell’anima, consentendo a Sharon di albergare sentimenti universali in piccoli ambienti. Dall’inizio fino alla recente straordinaria affermazione, Sharon Van Etten ha da sempre compreso l’impatto ‘economico’ delle composizioni. Non dovrebbe giungere come una sorpresa che il suo nuovo Ep di cinque tracce per Jagjaguwar ’I Don’t Want to Let You Down’ documenti  un senso di resa e scoramento, ammettendo responsabilità e disillusioni in un’offerta distillata di appena 22 minuti.

Prodotte dalla stessa autrice con Stewart Lerman, già in regia per ‘Are We There’, queste canzoni sono così sofisticate da spiccare immediatamente nella discografia della nostra. Supportata da una sezione d’archi nel corso di ‘I Always Fall Apart’, la sua voce si erge insieme al suo piano. Le sue armonie prismatiche tradiscono anche l’ammissione celata al centro del brano, uno degli spunti lirici più autobiografici di sempre: “You know I always fall apart/It’s not my fault/It’s just my flaw/It’s who I am”.  La disperazione insita nel titolo si erge nei quattro minuti di musica in cui le chitarre si fanno più grandi e le armonie si espandono. Adam Granduciel e David Hartley dei War on Drugs si uniscono a Stuart Bogie degli Antibalas, Peter Broderick ed Heather Woods-Broderick per ‘Pay My Debts’. Il pezzo più lungo dell’Ep, un numero cinematico con riferimenti sparsi al filone shoegaze. L’Ep si chiude con una rivisitazione live di ‘Tell Me’, una demo dall’album ‘Tramp’, con l’accompagnamento del quartetto che è ufficialmente la sua touring band, il pezzo diviene una battaglia interiore in cui la Van Etten coltiva i suoi poteri. E’ una mappa della progressione della cantante dalla dimensione di songwriter acustica a vera e propria leader di un gruppo, una precisazione di come la sua efficienza aldilà della dimensione più intima sia divenuta una costante.

http://www.youtube.com/watch?v=o9-_zXnFGOs

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Viet Cong, L’eredità Degli Women

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Ci vogliono appena sessanta secondi del brano d’apertura ‘Newspaper Spoons’ per pronunciarvi sul carattere invernale dell’album di debutto di  Viet Cong. Per certo il disco è aspro nei toni, ferisce, insinuando acumi velenosi sottopelle. E’ il lavoro della proverbiale maturazione, dopo che il recente Ep per Mexican Summer ne aveva già illustrato la metodica strategia. Siamo in pieno fermento wave e la polaroid dei Viet Cong non è affatto sbiadita. Passando in rassegna i momenti più galvanizzanti di un’intera scena – quella britannica ad onor del vero – i nostri ci regalano una palpitante cronistoria che mai rinuncia alla citazione d’autore. Un ritmo marziale, una melodia minacciosa, una chitarra tagliente, tutto al momento giusto, come in una minuziosa carrellata cinematografica.

E’ lo stato dell’arte del post-punk, quello che molti protagonisti contemporanei hanno solo apparentemente sfiorato, mancando quel tocco risolutivo sotto porta. Le capacità realizzative dei nostri non sono infatti in discussione, l’abilità nel ricreare quelle atmosfere crepuscolari ha del divino. Predestinati in fin dei conti. Il loro maggior dono è la capacità di umanizzare pietre grezze, solchi glaciali di vinile, ricavando una carica emotiva che è il loro maggior vanto. Registrato  in un fienile trasformato per l’occasione in uno studio di registrazione – in Ontario, parecchio fuori mano – il disco si regge su sette febbricitanti episodi già opportunamente testati dal vivo. Jagjaguwar è così lieta di introdurre la creatura definitiva di Pat Flegel in combutta con Mike Wallace, Scott Munro e Daniel Christiansen. Flegel e Wallace (rispettivamente chitarra/voce e batteria) tornano per certi versi all’ovile, ricomponendo la brusca frattura che aveva portato allo scioglimento dei Women, prodigiosi interpreti dell’indie più avveniristico, scomparsi a mala pena dopo due album. Fu un lutto a decretare la fine di quella ispirata esperienza, la disgraziata morte nel sonno del chitarrista Christopher Reimer pose la pietra tombale sui Women.

Si riparte con le figure di basso di  ‘Silhouettes’, quasi un’ ode ai Joy Division, uno dei punti fermi di questa nuova  raccolta di potenziali singoli che girano sullo struggimento interiore per cercare una nuova via oltre il crepuscolo quotidiano. Preziosa anche ‘Continental Shelf’ un gioiello proto-punk ipercinetico che conferma semmai l’asse su cui il gruppo muove. L’urgenza dei migliori artigiani white-funk unita alla proverbiale mise del rock gotico, in sintesi questo il gioco di specchi su cui poggia l’omonimo esordio lungo dei quattro. Desolate poesie periferiche pronte ad intersecare la vostra impenitente esistenza.

http://www.youtube.com/watch?v=hdMz7BUtOvk

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